Delega delle decisioni in materia di trattamenti terapeutici

Potrebbe capitare di trovarsi direttamente o indirettamente coinvolti in scelte che interessano la qualità della vita, la sofferenza e, da ultimo, la sopravvivenza, che non vorremmo mai affrontare. Allorquando ciò dovesse accadere, è utile conoscere le norme che disciplinano la delega delle decisioni sul trattamento sanitario a persona di propria fiducia.

La possibilità di nominare una persona di fiducia che compia le scelte terapeutiche per conto altrui è stata introdotta dalla legge 219/2017, relativa alle <<Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento>>.

La normativa, sebbene innovativa nel panorama del rapporto medico-paziente e delle scelte terapeutiche, ha ancora delle lacune, connesse alla genericità delle disposizioni.

L’art. 4 disciplina le disposizioni anticipate di trattamento (DAT): un documento, redatto nelle prescritte formalità, che consente al paziente di esprimere il proprio consenso (o rifiuto) in merito ai trattamenti sanitari cui sottoporsi, in un momento in cui non avrà la capacità di autodeterminarsi.

È facoltà del soggetto nominare una persona di fiducia (cd. fiduciario), affinchè lo rappresenti nella relazione con il medico e dia esecuzione alla sua volontà.

La legge 219/2017 lascia aperti dei dubbi in merito all’ambito di operatività delle DAT e sul ruolo del fiduciario.

Dal testo dell’art. 4 le DAT sembrano connesse al percorso terapeutico che il paziente è in procinto di intraprendere per curare una specifica patologia. Infatti la redazione delle DAT presuppone l’acquisizione di adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle proprie scelte.

Dunque non sembra che sia possibile per il soggetto redigere DAT a contenuto generico, con riferimento a malattie non ancora diagnosticate e sulle quali non sarebbe possibile assumere informazioni mediche adeguate.

Altro aspetto su cui si insinuano dubbi interpretativi è sulla figura del fiduciario.

Come anticipato l’art. 4 prevede espressamente tale figura, il cui ruolo sembrerebbe connesso all’attuazione della volontà del paziente, manifestata nelle DAT. Il problema è se sia possibile nominare un fiduciario con pieni poteri di scelta in merito ai trattamenti sanitari, cui sottoporre l’individuo incapace di autodeterminarsi.

La dottrina è divisa in merito alla possibilità di ammettere delle deleghe in bianco e il dato normativo non è univoco.

Fermo quanto previsto all’art. 4 lg. 219/2017, l’art. 1 in tema di consenso informato contiene una disposizione interessante. Il comma 3 prevede il diritto del paziente di ricevere informazioni complete, aggiornate e comprensibili sulla diagnosi, la prognosi, i possibili trattamenti sanitari con rischi e benefici, nonché le conseguenze del rifiuto del trattamento. È riconosciuto il diritto del paziente di rifiutare di ricevere le informazioni <<ovvero indicare i familiari o una persona di fiducia incaricati di riceverle e di esprimere il consenso in sua vece>>. Queste scelte devono essere registrate nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.

Dunque l’art. 1 ripropone la figura del fiduciario (senza chiamarlo tale), al quale sarebbe concesso effettuare le scelte terapeutiche per conto di altri. La norma è estremamente generica poiché parla di <<consenso>> e non chiarisce se il paziente debba conservare uno stato di capacità di intendere e di volere. Il dubbio è se, fuori dai casi di cui all’art. 4, la persona di fiducia possa anche rifiutare i trattamenti o se tale scelta debba essere riservata al paziente.

L’art. 1 tratta in commi diversi il consenso informato (co. 4) e il diritto a rifiutare le cure (co. 5). È evidente che il rifiuto delle cure potrebbe condurre ad esiti infausti e sarebbe comprensibile la volontà del legislatore di riservare tale scelta solo al diretto interessato. Dunque in mancanza di una disposizione anticipata del paziente, che espressamente rifiuti gli interventi necessari al mantenimento in vita, sarebbe precluso a terzi assumere una decisione di questo tipo. Affermazione non del tutto vera, per come si vedrà di seguito con riferimento alla figura dell’amministrazione di sostengo.

È pur vero che in mancanza del consenso informato il medico non può procedere al trattamento terapeutico o agli accertamenti diagnostici: l’assenza del consenso comporta il rifiuto. Tuttavia il legislatore non ammette una manifestazione implicita del rifiuto, ma richiede espressamente le stesse forme del consenso informato.

Per altro verso la legge sulle unioni civili n. 76/2016, all’art. 1 co. 40 contiene una peculiare disposizione che consente a ciascun convivente di fatto di <<designare l’altro quale suo rappresentante con poteri pieni o limitati: a) in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute (…)>>. Il legislatore, seppure in un settore completamente diverso dal rapporto medico-paziente, ha manifestato un’apertura verso la possibilità per il paziente di rilasciare un’ampia delega a una persona di fiducia, affinchè effettui tutte le scelte terapeutiche per proprio conto in un momento in cui non sarà in grado di autodeterminarsi.

Del resto già molto tempo prima dell’introduzione della legge 219/2017 la giurisprudenza aveva avviato un lungo percorso per garantire la dignità del malato, anche quando è incapace di esprimere una volontà cosciente (caso Englaro – 2007).

Il compito di rappresentare il malato è stato riconosciuto all’amministratore di sostegno, nominato dal giudice, affinchè compia le scelte in ambito sanitario e, in particolare, quelle legate all’interruzione dei trattamenti finalizzati al mantenimento in vita. Questa manifestazione di volontà rientra tra gli atti personalissimi dell’individuo, che normalmente non possono essere delegati all’amministratore di sostegno. Tuttavia l’eccezionale ammissibilità risponde alla necessità di dare attuazione ai diritti del paziente, in un momento in cui l’interessato non è in grado di provvedervi da solo. È stato precisato dalla giurisprudenza che il compito dell’amministratore di sostegno è quello di esprimere una “volontà sostitutiva” del paziente, in quanto attuativa della volontà presunta dello stesso.

Dunque se è ammissibile nominare un amministratore di sostegno con pieni poteri decisionali in un momento successivo al verificarsi dello stato di incapacità del paziente, sarebbe contraddittorio non consentire all’interessato di nominare pro futuro un soggetto di fiducia che abbia i medesimi poteri.

Allo stato attuale non esiste una soluzione univoca al problema: il dato legislativo non è risolutivo e non si è ancora consolidato un orientamento giurisprudenziale rispetto al contenuto delle DAT.

La nomina ex post di un amministratore di sostegno è ormai ricorrente nella prassi giudiziaria, ma è un percorso che potrebbe rivelarsi tortuoso soprattutto nel ricostruire la volontà presunta del paziente, diversamente dal caso in cui sia “fotografata” in un documento scritto.

Pertanto si può concludere che conserva una sua utilità predisporre un documento (preferibilmente secondo le formalità richieste dalla legge 219/2017) con le disposizioni che l’interessato ritenga più idonee, eventualmente con la sola nomina del fiduciario e l’attribuzione di pieni poteri in ambito medico.

Nell’eventualità di un contenzioso con altri familiari contrari alle scelte terapeutiche intraprese, le disposizioni anticipate di trattamento, laddove non venissero considerate giuridicamente vincolati, avrebbero in ogni caso una valenza probatoria significativa per la ricostruzione della volontà del paziente.

Avv. Laura Fatano